A Modena si chiamano prevalentemente frappe e restano il tipico dolce di Carnevale. In altre parti dell’Emilia Romagna prendono nomi diversi, ma la preparazione rimane più o meno la stessa, con piccole e ricercate variazioni derivate dalla tradizione contadina locale. Così troviamo le sfrappole a Bologna, che diventano spréll a Parma, chiacchiere di monaca a Busseto e intrigòun a Reggio Emilia.

Se si passa in Toscana però si parla di cenci, mentre sono galani e gròstul nel Veneto. In Piemonte vengono dette bugie, ma continuando il giro d’Italia si incontrano anche come fiocchi, nodi, zeppolefrangette e donzellini.

Passa il tempo, la tradizione si tramanda e le frappe non hanno perduto il loro appeal nel corso degli anni, forse perchè appartengono alla tradizione della cucina povera contadina modenese. Bastavano farina, uova e zucchero per portare l’allegria tra i bambini e in tutta la famiglia, senza trascurare l’aggiunta di un buon valore calorico, tutt’altro che trascurabile  nei tempi andati .

La tradizione delle frappe risale a tempi antichissimi. C’è chi addirittura parla di antica Roma, dove venivano cucinate con il nome di frictilia.

Ancora oggi, le frappe nel modenese sono consumate volentieri con la panna montata, quella che veniva chiamata latmèl, ovvero lattemiele, perchè la panna era mantecata col miele. Questa tradizione risale al XVI secolo, e veniva considerata un a specialità di Mastro Vincenzo, pasticcere, o per meglio dire “confettiere” alla corte estense, che si tramanda fosse “esperto nel battere lattemiele e fabbricar cialdoni”.

Le frappe possono essere cucinate con numerose varianti. C’è chi ad esempio, terminata la cottura e fatte riposare le frappe su un foglio di carta assorbente, non disdegna di spruzzarle con sassolino, naturalmente solo per quelle destinate agli adulti, prima di spolverarle con lo zucchero a velo. @enjoy