Passo dopo passo, tra storia e leggende, alla scoperta del piatto più tipico della Valle Panaro.

Questa è una storia nella storia: sono le vicende accadute durante la prima promozione del borlengo fuori del territorio di origine; sono le ricerche e le interviste alla riscoperta di un patrimonio perduto; sono il lavoro e la passione di tante persone intorno ad un unico progetto, lungo “le strade del borlengo”.

La valorizzazione di un territorio passa anche attraverso la riscoperta delle sue tradizioni gastronomiche. Frugare nelle dispense e nei piatti preparati dai nostri antenati significa ricercare le vocazioni agronomiche della nostra terra, il suo livello economico, il suo grado di civiltà attraverso i secoli.

Solo fino a pochi decenni fa l’Italia era un paese prevalentemente agricolo e nei prodotti della terra erano racchiuse le speranze per il sostentamento di tutta la popolazione. Dalla qualità, dalla quantità e dalla ricchezza della gastronomia di ogni singolo luogo, si possono quindi apprendere numerose notizie sulla quotidianità delle diverse realtà territoriali; anche perchè l’Italia, vuoi per la conformazione fisica orogenetica, vuoi per la secolare suddivisione politica in stati e staterelli, non possiede una cucina nazionale, ma tante realtà gastronomiche locali, ognuna delle quali custodisce con cura e passione le proprie peculiarità, i propri piatti tipici.

Dal libro all’ebook

Indagare sul passato dei cibi tradizionali vuol dire riscoprire la storia, quella vera, quella della gente qualunque, che oltrepassa le sterili citazioni dei manuali riguardanti guerre, imperatori e movimenti politici.

È in questa dinamica che si colloca il borlengo, un cibo che all’apparenza può sembrare un semplice, forse un po’ rozzo, ma rimane uno dei piatti più tipici della Valle del Panaro. Il suo grande presente si perde in un passato di intrecci tra storia e leggenda.

Nonostante la sua secolare, forse millenaria, il borlengo non ha mai oltrepassato i confini entro i quali ancora oggi si colloca.

Forse anche per questo le sue caratteristiche sono rimaste intatte attraverso generazioni e generazioni, all’interno di un ristretto territorio. Raramente è stato conosciuto oltre la Valle del Panaro, ma oggi, chiunque vi transiti e lo assaggi, difficilmente riesce a dimenticarlo.

Da qualche anno il borlengo ha ritrovato una nuova fertile stagione. Ha rafforzato stima e fama presso i più esigenti buongustai, riuscendo persino a comparire, a tutta pagina, sul Washington Post, il celebre quotidiano degli States.

Parlare di borlengo, però, significa anche percorrere un itinerario tra cucine e costume, folklore e tradizione, turismo e sviluppo economico; significa attraversare gli anni bui del Medioevo e soffermarsi sulle bellicose lotte tra Modenesi e Bolognesi, tra Guelfi e Ghibellini; significa indagare nelle derivazioni pagane legate al “sole”, la padella nella quale i borlenghi vengono cotti, e al valore del “cibo-sole” come “cibo-vita”; significa tuffarsi nella tradizione pagana e arrivare a quella cristiana del carnevale.

Parlare di borlengo significa, in altre parole, sfogliare un voluminoso faldone d’archivio, dove passato e presente si fondono e dove non è stata ancora scritta la parola fine (segue…).

Miria Burani ©