Buono, semplice e salutare, il minestrone di una volta sta tornando prepotentemente sulle tavole degli italiani.
Negli ultimi anni, la pratica di coltivare ortaggi sta tornando ad interessare gli italiani amanti della genuinità e stanno aumentando gli appassionati che riservano una parte del giardino ad aiuole dedicate al food. Per chi non ha un giardino, si arriva a coltivare ortaggi in vaso creando in terrazzo o sui davanzali delle finestre angoli verdi edibili.
L’orto è una grande tradizione delle campagne italiane. Il piccolo rettangolo destinato a questo utilizzo, veniva scelto vicino alla casa, comodo all’acqua per annaffiare, alla coltivazione e alla raccolta da parte della massaia, che riusciva così ad assicurare, anche negli anni di maggiore disagio economico, un pranzo per la famiglia. Si zappava, si vangava, si seminava, si trapiantavano le piantine di ortaggi, si concimava e si toglievano le erbacce.
Intorno all’orto lavoravano un po’ tutti, vecchi, donne e bambini. Si trovava sempre qualcosa da fare anche per i più piccoli, per i quali non c’erano scuse o ricorsi sull’illegalità del lavoro minorile. Una volta cresciuti, però, gli stessi ragazzi potevano scegliere se continuare con gli ortaggi o dedicarsi al pollame, perchè dietro casa, vicino dell’orto, c’era sempre un pollaio animali da cortile di diverse specie: galline, galletti, capponi, anatre, oche, conigli.
Orto e pollaio erano la dispensa alla quale la famiglia contadina poteva attingere tutto l’anno e uno dei piatti che tutto l’anno poteva trovarsi sulla tavola era il minestrone, i cui ingredienti variavano sempre, perché ogni stagione aveva le sue verdure, senza eccezioni. Anche nel periodo in cui l’orto era coperto di neve, la massaia riusciva a recuperare qualche rapa e ad aggiungerla a cavoli o fagioli.
Il minestrone di una volta
Una volta, per preparare il minestrone, non c’erano regole particolari: si tagliavano a piccoli tocchetti le verdure che l’orto forniva al momento, si mettevano in una pentola capiente e si iniziava una lenta e lunga cottura, senza necessariamente aggiunta di acqua, perché gli stessi ingredienti riuscivano quasi sempre a fornire il necessario apporto liquido alla preparazione.
Per insaporire la preparazione, sempre la tradizione consiglia l’aggiunta di qualche crosta di formaggio Parmigiano Reggiano, rigorosamente pulita e raschiata con un coltello, prima di metterla in pentola. La crosta forniva maggiore sapore ed era sempre molto contesa. La padrona di casa infatti serviva il minestrone con mestolo capiente, che non lasciava vedere tutto il suo contenuto e per questo ognuno dei commensali, con un cucchiaio, sbirciava subito nel proprio piatto, tra le verdure fumanti. Se era presente la crosta ammorbidita dalla prolungata cottura erano grida di gioia e il fortunato coglieva l’evento come un segno di buon auspicio. Il realtà la massaia, con occhio fino e maestrìa culinaria, cercava di individuare le croste già quando erano ancora all’interno della pentola e le distribuiva, di volta in volta a rotazione, soprattutto tra i più piccoli.
Il minestrone poteva essere consumato calco o tiepido con aggiunta a crudo di una filo di olio extravergine di oliva
Miria Burani ©