“Con la polenta bevine una brenta”, era il consiglio in uso fino al XIX secolo, quando la brenta era il recipiente per il vino portato a spalla da uomini alti e forti, i brentatori. La brenta era inoltre talmente di uso comune da essere presa come misura codificata e depositata presso l’Ufficio dell’Estimo ed esposta, per quanto riguarda la città di Modena, con altre misure in Piazza Grande ai piedi della Bonissima.
L’arte dei brentatori
La storia dei brentatori sconfina infatti nella leggenda e anche qui si risale ai tempi delle lotte tra Modenesi e Bolognesi. Negli Statuti Comunali di Bologna, già nel 1250 esisteva una corporazione dell’Arte dei Brentatori che si occupava del trasporto del vino nelle brente coniche di legno, portate a spalla. In particolare avevano il compito di portare il vino dalle campagne, soprattutto dalla collina, alla città, evitando le scorrerie dei nemici che tentavano di fare razzie. Erano figure essenziali nella vita medievale e anche dopo, fino all’Ottocento, fino a quando cioè, non furono istituite apposite ordinanze contro l’uso degli alcolici e non arrivarono sul mercato in maniera massiccia le bottiglie, i tappi ed altri recipienti che permettevano trasporti sicuri.

I brentatori erano necessariamente uomini di corporatura alta e robusta, conoscitori ed estimatori del vino che trasportavano, tanto che agli stessi brentatori era vietato mangiare noci, finocchio o formaggio, alimenti che potevano alterare il sapore del vino al momento dell’assaggio.
In caso di necessità, però il vino veniva sostituito dall’acqua e i brentatori diventavano vigili del fuoco, incaricati di spegnere i frequenti incendi che si verificavano in città, nelle abitazioni a quel tempo prevalentemente costruite in legno. Avevano anche un significativo valore sociale, ma nonostante tutto, probabilmente a causa della loro vicinanza al vino, erano tenuti in poco conto dalla comunità ed era diffuso il detto “chi troppo studia matto diventa, chi poco studia porta la brenta”.
La loro vita si svolgeva prevalentemente nei loro posteggi stabili o punti fissi situati in diversi luoghi della città, chiamati trebbi, nei quali si riunivano, giocavano d’azzardo o mangiavano vicino ad una pentola fumante.
Maltagliati coi fagioli
Nonostante il consiglio legato alla polenta, il piatto per eccellenza dei brentatori era la minestra di fagioli con i maltagliati, un piatto che veniva anche chiamato “maltagliati alla brentatora”.

I maltagliati, che nel dialetto prendono anche il nome di “levagrògn”, sono una pasta all’uovo tagliata in maniera irregolare, che nella tradizione è la risultanza degli scarti della sfoglia usata per i tortellini o per le tagliatelle. I maltagliati vengono cotti in un brodo di fagioli preparato lessando i fagioli borlotti in abbondante acqua. Si fa poi soffriggere in una teglia aglio, cipolla, volendo un pizzico di prezzemolo tritato; poi si aggiungono i fagioli borlotti lessati, in parte interi e in parte passati al passaverdure, e la loro acqua di cottura, e per finire si aggiunge poi la conserva di pomodoro e si continua bollire il tutto. La minestra di fagioli con i maltagliati può essere servita accompagnandola con olio extravergine di oliva e Parmigiano Reggiano grattugiato.
Miria Burani ©