Per chi vive sull’Appennino modenese le tigelle, o meglio le crescentine, quelle intese come “impasto che cresce”, e le tigelle, nome assimilabile al verbo “ricoprire” dal latino “tegere”, sono due cose complementari, ma molto diverse.
La crescentina è la parte commestibile, quella che, sempre sull’Appennino modenese , è stato ritenuto per secoli il pane quotidiano; la tigella, invece, è il disco che, scaldato tra le braci del camino, serviva per la cottura della crescentina stessa.
Da dove arrivino le “crescentine nelle tigelle” è tutto da definire e la loro origine si perde, come si è solito dire in questi casi, nella notte dei tempi.
Sono comunque da considerarsi tra le tante varianti delle focacce che, fin dall’era pagana, venivano offerte al dio Giano. La loro preparazione è stata circoscritta per secoli tra la collina e la media e alta montagna modenese, anche se si ritrovano altre tipologie di pani simili in zone adiacenti e confinanti. Tra queste, ad esempio, ci sono le piadine in Romagna o i testaroli e i panigazzi in Lunigiana.
Ciò che contraddistingue però la crescentina modenese sono tre caratteristiche principali: dimensioni, cottura, condimento. (segue…)