Le crescentine sono tipiche dell’Appennino, ma nel corso dell’ultimo secolo, anche con l’immigrazione interna che ha portato le popolazioni dell’Appennino verso i centri più popolosi e industrializzati della pianura, sono diventate comuni anche nell’area pedemontana modenese, e anche qui vengono utilizzate come un pane adatto per spuntini rapidi e, allo stesso tempo, gustosi.

Si sa, da sempre in montagna, come in pianura, fare il pane era un rito e averlo era un lusso, quindi le madri raccomandavano ai figli di non sciuparne nemmeno una briciola, altrimenti – minacciavano – “si andava all’inferno dove si doveva poi raccoglierle una per una con una “forca e una corga” :impresa palesemente impossibile, perchè la còrga, nel modenese è quella cesta di salice intrecciato a maglie molto larghe, di forma cilindrica e altezza di circa mezzo metro, che serviva per trasportare fieno o paglia.

Il pane, una volta cotto, veniva levato dal forno e riposto, per essere consumato la settimana dopo. Il pane secco era, infatti, meno appetitoso del pane fresco e durava quindi più a lungo. Raramente e solo nelle famiglie ricche si impastavano pagnotte con solo farina di grano.

Si aggiungeva nella maggior parte dei casi alla farina la crusca (granisel) o farina di veccia, scura e di sapore meno gradevole.

Si otteneva così un pane diversissimo, che si piantava nello stomaco e teneva la fame. Confezionare il pane in casa implicava un’attrezzatura adeguata che cominciava con una madia o “panera”, dove veniva riposto il pane, una gramola o “grama”, uno strumento che consentiva di pressare più vigorosamente l’impasto, i setacci o “sdaz”, una tavola per portare il pane confezionato al forno “asa dal pan” e il forno che solitamente era collocato fuori a fianco della casa.