Andare in brodo di lasagna, dialettalmente parlando si trasforma in: “andèr in brod ed lasagna“. Sta ad indicare un particolare stato di grazia, una sorta di innamoramento che rende gioia. E’ un modo di dire molto antico del dialetto modenese. Viene infatti riportato, nel “Piccolo vocabolario del dialetto modenese” di Ernesto Maranesi, dato alle stampe nel 1869.
E’ un modo di dire che lo stesso autore accomuna ad un “andare in brodo di giuggiole“, che traduce “andèr in brod d’saiógla“.
Lo stesso significato si da ad: “andèr in brod ed fasò“, andare in brodo di fagioli, più conosciuto nell’area della provincia bolognese.

La lasagna asciutta
Il “brodo di lasagne” non trova più riferimenti concreti nelle conversazioni comuni. L’unico rimando è invece gastronomico e si riferisce a quella pasta ripiena che costituisce ancora oggi un primo piatto goloso al quale un vero emiliano romagnolo non può rinunciare. In particolare sono le lasagne, dette “alla bolognese”, che hanno trovato ormai posto fisso nei menù tipici di ogni ristorante che si rispetti da Piacenza a Rimini.
Nelle case emiliane questa tradizione ha resistito nel tempo e trae ancora oggi spunto da saperi, sapori e profumi atavici. Erano il piatto che le famiglie sia contadine che cittadine, in occasione delle feste comandate, alternavano o aggiungevano come portata di pasta asciutta, ai tortellini, considerata senza alternative, come portata di pasta in brodo.

La tradizione casalinga
Le lasagne venivano preparate il sabato sera o la domenica mattina, quando era già pronto il ragù e si grattugiava il Parmigiano Reggiano, poi si cucinava al momento la besciamella, che doveva sempre essere utilizzata appena fatta.
Sul grande tagliere la rezdora impastava la sfoglia “verde”, aggiungendo bietole o spinaci lessati all’impasto di farina e uova. Stendere, o per meglio dire, tirate la sfoglia verde era molto difficile, perchè gli spinaci toglievano elasticità all’impasto e così, solo con l’esperienza e la sapienza , riuscivano a non fare buchi.
La pasta veniva tagliata in grandi quadrati. Ogni quadrato di pasta veniva scottato in acqua bollente salata, scolato e asciugato in un canovaccio. Ancora molto caldo, ma con la consistenza e la giusta elasticità, veniva quindi sistemato in una teglia da forno precedentemente imburrata. Sopra ogni “foglio” di pasta, si aggiungeva poi uno strato di ragù, uno di besciamella e una manciata di Parmigiano Reggiano grattugiato. L’operazione di stratificazione: pasta, ragù, besciamella, Parmigiano doveva poi essere ripetuta fino al raggiungimento del bordo della teglia.
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Miria Burani ©